Il dramma psicologico del paziente con dolore cronico
Il dramma del cattivo inquadramento del paziente con dolore cronico
Tutti i pazienti con reale dolore cronico condividono un terribile dramma, oltre al dolore cronico che devono sopportare.
I pazienti che patiscono dolore cronico, o che sono stati portatori in passato di lunghi periodi di dolore cronico, probabilmente hanno capito a cosa mi riferisco: si tratta del dramma di non essere creduti, o peggio di essere considerati dei simulatori nevrotici che non hanno voglia di fare nulla. Tutti si saranno sentiti dire frasi del tipo: “è tutto nella tua testa”, “dai che ti passa”, “stai esagerando”. Oppure si saranno sentiti dire dal medico o psicologo di turno che “basta pensare positivo” e “che presto tutto passerà”.
Mi sono chiesto tante volte da dove derivi questa mancanza delle scienze mediche e psicologiche. In questo breve articolo farò delle ipotesi. In sintesi io credo che il problema del dolore cronico sia mal definito perché poco conosciuto e poco studiato.
Chi può dire esattamente cosa sia il dolore cronico con certezza? Nessuno.
Perchè? Perchè non esiste una definizione comune e condivisa di cosa sia il dolore cronico.
Secondo l’International Association for the Study of Pain (IASP) il dolore cronico è “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva, associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termine di tale danno”.
Secondo questo articolo scientifico il dolore cronico è qualcosa di più di quanto descritto sopra: si tratta di una percezione complessa che coinvolge il sistema nervoso centrale, gli stati emotivi, i processi mentali.
Il fatto però che il dolore cronico possa derivare da svariate patologie, non rende possibile unificare tutti gli studi sul dolore cronico.
Il DSM IV (da qualche tempo è uscito il DSM V che ha apportato qualche importante modifica), non esiste nemmeno una categoria primaria definita come “Dolore Cronico”. Esistono alcune descrizioni che richiamano il dolore cronico nela categoria dei disturbi somatoformi, per esempio il dolore algico. Le definizioni sono comunque modeste e molto generiche. In più si tenga conto che nel DSM V il dolore algico è stato tolto.
Per approfondire un poco: il Disturbo Algico nel DSM-IV è incluso nella categoria dei Disturbi Somatoformi. Nel DSM-V questo disturbo è sparito e viene diagnosticato in modo molto generico come un Disturbo da sintomi somatici con dolore predominante.
Il Disturbo Algico nel DSM-IV è definito seguendo solamente con i seguenti criteri: 1) l’individuo ha come principale manifestazione dolore molto grave in uno o più distretti anatomici, per un periodo di tempo variabile. Se meno di 6 mesi (Dolore Acuto) e se più di 6 mesi (Dolore Cronico). 2) A causa di tale forte dolore, l’individuo prova malessere oppure compromissione di aree importanti del funzionamento, per esempio il pensiero. 3) Il disturbo, che spesso è frutto di un meccanismo di somatizzazione, può essere: Disturbo Algico Associato con Fattori Psicologici oppure Disturbo Algico Associato con Fattori Psicologici e con una Condizione Medica Generale.
In ogni caso si noti come il dolore cronico non è una categoria a sè, ma una sotto categoria dei disturbi somatici, tra i quali compaiono per esempio anche il disturbo fittizio o il disturbo da conversione.
Questa mancanza mi pare del tutto inadeguata alla realtà delle cose ed al numero di persone che soffrono di dolore cronico. Vi sono dei pazienti che a seguito di danni di natura medica sperimentano un dolore cronico costante. Questo dolore interferisce in modo pesante sulla psicologia. Questo tema andrebbe trattato meglio. Punto.
Inoltre è inadeguato inserire il dolore cronico nella categoria dei disturbi somatoformi, che per esempio includono anche i disturbi da simulazione. A mio modesto giudizio, il fatto di inserire questo problema nella stessa categoria porta i medici psichiatri o gli psicologi, ad essere scettici nel momento della diagnosi e a chiedersi in quale sotto-categoria ricada il paziente. In assenza di prove fisiche (come per esempio nel caso della fibromialgia) si è tentati di pensare alla simulazione. Ma l’assenza di una prova non costituisce una prova.
Ecco perché spesso si ha la sensazione di non essere creduti.
Non diciamo un’eresia se osserviamo che l’insorgenza di dolore cronico porta con sè una serie di danni nella vita dei pazienti. Parliamo di danni nella qualità di vita (per esempio non potersi sedere, non poter camminare), danni ai processi cognitivi e agli stati emotivi. Danni nelle relazioni con i familiari e sul luogo di lavoro. Parliamo di danni nella qualità della vita. Richiamare il concetto dei vantaggi secondari come spesso avviene in psicologia dinamica mi pare offensivo. Non credo vi siano vantaggi secondari sufficienti per bilanciare il dolore cronico.
A livello di disturbi associati abbiamo comorbilità come ansia, depressione, utilizzo di sostante (alcol, medicinali analgesici, sedativi).
Quindi avviene questo: il paziente che ha sofferto di dolore cronico per molto tempo, è chiaro che svilupperà altre patologie (per esempio la depressione). Ma è altrettanto chiaro che trattare la depressione reattiva non risolverà nulla.
Altri potrebbero beneficiare. Oppure metti un mi piace. Mi aiuterai a migliorare il posizionamento e molte persone con dolore cronico potranno trarre beneficio. Grazie
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